Autoritratto con orecchio bendato, 1889, Courtauld Institute Galleries, Londra
“Ora non mi resta più niente, ho perso tutto ciò che avevo…ho una speranza, ed è nella sorella sfortunata della poesia, la follia. Cosi questa sorella diventerà forse la mia amica; perché è infinita, perché si insinua tra il mondo e noi e di fronte agli dei starà dalla nostra parte”.
Con queste parole l’artista Vincent Van Gogh esprimeva al fratello Theo la sua interiorità e il suo animo “diverso”. Oggi 30 marzo si festeggia l’anniversario della nascita dell’artista avvenuta in una cittadina olandese nel 1853.
Vincent apparteneva ad una famiglia di pastori della comunità riformata olandese e durante la sua infanzia cresce in un ambiente chiuso e bigotto, per questo motivo userà poi la pittura come sbocco di liberazione. Molti dei suoi familiari esercitavano la professione di mercante d’arte, tra questi ricordiamo lo zio Cent che lavorava alla Maison Goupil. Il giovane Vincent inizia il suo apprendistato alla filiale a L’Aja, ma non avrà seguito.
In quegli anni si trasferisce a Londra e stabilisce un profondo legame epistolare con il fratello Theo al quale sarà legato tutta la sua vita. Ci rimangono 652 lettere, che già nel 1914-15 furono pubblicate dalla moglie del fratello, dove in esse l’artista esprime l’ insoddisfazione di sé e i suoi dubbi sull’avvenire “quanto a me, sono di carattere assai diverso dagli altri membri della famiglia, non sono un vero Van Gogh”.
Nella primavera del 1876 abbandonata la carriera di mercante d’arte, Van Gogh ricerca rifugio in una vera e propria follia religiosa, che lo portava ad aspre mortificazioni fisiche. Si avvia verso un misticismo religioso, che influenzerà successivamente i suoi dipinti. Il consiglio di famiglia decise che Vincent doveva diventare predicatore laico, ma non aveva né la stoffa del mercante né tantomeno del pastore. A questo punto anche lo stesso Theo resta sconvolto e una lettera del 1880 mostra un Vincent cambiato, il suo spirito appare disilluso e lucido, avverte in sé un nuovo richiamo, quello dell’arte.
Il primo contatto con la pittura è durante l’apprendistato da Goupil, ma sicuramente fu l’esperienza mistica, la sua fede, la religione personale, catalizzatori della sua creatività, che costituirono per l’artista un patrimonio di convinzioni, di simboli e di motivi al quale sarebbe sempre ritornato.
In questo primo periodo ricorrono immagini bibliche ed Ecce Homo nella sua pittura dove ritorna la cit. dell’apostolo Paolo “afflitto, ma sempre lieto”.
Utilizza la pittura per dare voce all’esigenza personale di esprimere la sua visione del mondo… ”artista può essere solo colui che ha una sua religione, una sua visione originale dell’infinito”. Van Gogh sperava di attutire la propria sofferenza nel processo creativo, riconosce come concetto chiave della sua arte, di cui prende coscienza, la “malinconia attiva” proiettata nel dolore universale, tramite cui va alla ricerca di Dio e dell’infinito.
Alla fine del 1880, si reca a Bruxelles per frequentare l’accademia “una volta padrone della matita e dell’acquarello o dell’acquaforte, potrò ritornare al paese dei minatori di carbone o dei tessitori per lavorare meglio, ispirandomi alla natura” . I primi studi all’accademia lo portano su motivi abbastanza banali come nature morte.
Natura morta con cappello di paglia giallo, 1885, Otterlo, Kröller-Müller
Ben presto l’artista lascia gli studi all’accademia e ritorna in Olanda, iniziando un periodo in cui si dedicherà alla vita di famiglia.
Tutti si chiederanno se un artista famoso per la sua solitudine come Van Gogh si fosse mai innamorato. In realtà è accaduto e non una sola volta “non si può vivere troppo a lungo e impunemente senza una donna”.
Il suo primo vero amore fu per la cugina Kee, più grande di lui di qualche anno e vedova con figli, poi incontrò Sien una donna che viveva prostituendosi, la quale gli darà quell’affetto che tanto ricercava “non è la prima volta che sono incapace di resistere a quel senso di affetto e di amore per quelle donne che vengono condannate e maledette e disprezzate dagli uomini di chiesa dal pulpito”.
Fallito l’intento di crearsi una famiglia, si lascia alle spalle gli anni della sua formazione e del fervore religioso e sviluppa una propria arte indipendente dalle condizioni in cui vive.
Alla fine del 1883 a trent’anni ritorna a casa dai genitori a Nuenen, periodo decisivo per la sua formazione artistica; realizza infatti molti dipinti e disegni che ritraggono i paesaggi e gli abitanti del luogo, tra cui soprattutto contadini e tessitori poveri.
Mangiatori di patate, 1885, Museo Van Gogh, Amsterdam
Nell’inverno 1885-86 soggiorna ad Anversa dove conosce lo spirito di Rubens, “lo studio di Rubens appare molto interessante, perché la sua è una tecnica molto semplice… e dipinge, soprattutto disegna, con mano molto veloce”.
Dal 1886 al 1888 vive a Parigi, dove scopre la pittura degli impressionisti, in particolare di Gauguin, e approfondisce l’interesse per l’arte e le stampe giapponesi. Importante è la conoscenza di artisti come Emile Bernard, Toulouse-Lautrec che faciliteranno il suo inserimento nel mondo dell’arte. A Parigi l’artista si appoggia a casa di Theo, che si stava facendo un nome come gallerista e la sua carriera sembra essersi messa in moto con l’aiuto del fratello. Alla partenza di Vincent, Theo riassumerà la propria malinconia scrivendo alla sorella:” quando arrivò qui, due anni fa, non avrei mai pensato che si sarebbe creato tra noi un legame cosi stretto”, in quanto aveva avuto modo di conoscere la genialità del fratello, nella quale riconosceva il marchio dell’artista. I dipinti del periodo parigino sono più gioiosi, ottimisti e aperti.Agostina Segatori nel Café du Tambourin, 1887-1888, Van Gogh Museum, Amsterdam
Dal 1888 al 1889 si trasferisce ad Arles, entusiasta della luce e dei colori accesi della Provenza, realizza tra le sue opere più significative come la serie dei girasoli e la sua camera. Già a Parigi aveva abbandonato il realismo del colore puro e le sue opere ora sono legate ai soggetti e all’atmosfera di un luogo preciso, al rapporto simbiotico con l’ambiente in cui lavora. Al sud, Vincent riesce a dominare il colore, rendendolo autonomo dal dato oggettivo, la sua sensibilità diventa più indipendente dai condizionamenti della realtà concreta. In Provenza, cerca il Giappone e lo trova, nei ciliegi, mandorli, peschi in fiore.
La camera di Vincent ad Arles, 1888, Van Gogh Museum, Amsterdam
Dodici girasoli in un vaso, 1889, The Philadelphia Museum of Art, Filadelfia
Ad Arles, diversamente che da Parigi, Vincent sfugge la gente, lavora nella solitudine della campagna, un’unica volta supera la sua timidezza e monta il cavalletto in Place du Forum, nasce in questa occasione “Terrazza del caffè in Place du Forum ad Arles la sera”, il cui soggetto è in realtà la luce a gas dei lampioni. Terrazza del caffè in Place du Forum ad Arles la sera, 1888, Dallas Museum of Art, Dallas
Alla fine del 1888 ancora ad Arles, l’artista mette a punto un progetto ben preciso a cui meditava da tempo cioè fondare una comunità solidale di artisti, che si sarebbero sostenuti l’uno con l’altro e avrebbero lottato insieme per una pittura migliore. Per chiarire il significato dell’ iniziativa, Van Gogh si serve della metafora della comunione della vita monastica, ma questo porta inevitabilmente ad un furioso litigio con Gauguin, che era invece ateo e non aveva intenzione di seguire regole monastiche. Insomma Gauguin aveva una concezione estetica molto diversa rispetto a quella dell’amico, e non era disposto a sacrificare la propria vita per la speranza di un nuovo mondo.
Da quel momento in poi le fasi di alterazione mentale che seguiranno presto illustreranno, in un certo modo, la follia del suo concetto dell’arte, inteso a portare ad armonia quadro e realtà, finzione ed esistenza. Gauguin sarà catalizzatore, non del tutto innocente, della tragedia che esploderà la sera del 23 dicembre. Lo stesso Gauguin quando torna a casa, all’alba della vigilia di Natale, scopre Vincent svenuto in quanto si era tagliato con un rasoio il lobo dell’orecchio. Van Gogh fu ricoverato in un ospedale e i due amici non si rivedranno mai più.
In preda a forti crisi depressive viene ripetutamente portato nell’ ospedale di Arles e poi in seguito internato nell’ospedale psichiatrico di Saint-Paul, a Saint-Rémy-de-Provence. Qui, nei momenti di lucidità, dipinge intensamente, realizzando opere cariche di potenza visionaria, espressa attraverso un segno sempre più vorticoso e una maggior accensione cromatica, condizionati dai suoi stati d’animo. Van Gogh incarna adesso un nuovo antichissimo topos: la sinonimia di arte e alienazione mentale.
Cortile dell’ospedale di Arles, aprile 1889 – Collezione Reinhart, Winterthur
Ritorna il discorso che aveva contrassegnato tutta la sua esistenza: la società non può capire che può esistere una vita degna di essere vissuta che non rientri nel suo ordine precostituito. La lotta di Van Gogh contro la sua incapacità di adattamento e contro il costante tormento che ne risulta è ormai finita. L’inadattabilità è parte integrante del suo ruolo di folle. A Saint-Rémy accetta l’isolamento e vive in un perenne stato d’angoscia che trasmette nei suoi dipinti.
Nella primavera del 1890 lascia il manicomio per trasferirsi ad Auvers-de-Oise, vicino Parigi, dove viene accudito e curato dal fratello e dal dottor Gachet. In questi ultimi mesi di vita dipinge ancora moltissimo, soprattutto paesaggi e ritratti.Il ritratto del dottor Paul Gachet, 1890, Museè d’Orsay, Parigi
La chiesa di Auvers-sur-Oise,1890, Museè d’Orsay, Parigi
Il campo di grano con corvi, 1890, Museo Van Gogh, Amsterdam
Il 27 luglio verso sera passeggia nei campi, ma torna presto a casa e si chiude nella sua stanza. Vincent si era sparato al petto. I medici lo fasciano ma non riescono ad estrarre la pallottola. Theo si reca da Parigi subito ad Auvers e resta tutto il giorno seguente con il fratello. Nelle ore del mattino del 29 luglio muore con Theo a fianco, che accoglie le sue ultime parole:” vorrei che fosse la fine”. Il giorno seguente la bara viene esposta con accanto il cavalletto, il seggiolino da campo e gli attrezzi da pittore, e alle pareti della stanza erano stati appesi i suoi ultimi quadri. Il dottor Gachet ricorda cosi Van Gogh:“era un uomo d’onore e un grande artista. Conosceva solo due scopi nella vita: l’umanità e l’arte. E’ stata l’arte ciò che egli ha apprezzato più di qualunque altra cosa e che manterrà vivo il suo nome”.
Vorrei concludere ricordando il forte legame indissolubile tra i due fratelli Van Gogh che proseguii oltre la vita. A soli due mesi dalla morte del fratello, Theo si ammala, per non riprendersi più. “E’ un dolore che mi accompagnerà a lungo e che porterò con me tutta la vita”, aveva scritto alla madre. Sei mesi dopo, il 25 gennaio del 1891, Theo segue il fratello nella morte. Ora l’artista era morto definitivamente, i due sono sepolti l’uno al fianco dell’altro al cimitero di Auvers.